Il triangolo della verità
Il Sole 24 Ore, 7/9/03
Gloria Origgi
Donald Davidson,
uno dei massimi pensatori americani di questo secolo, si è spento il 29 agosto
a Berkeley, dove insegnava dal 1981. Con la sua morte, che segue di pochi anni
quella di Nelson Goodman e di Willard V.O. Quine, scompare una generazione di pionieri della
filosofia analitica di oltreoceano, che ebbe il merito principale di importare
negli Stati Uniti i metodi dell’empirismo logico e di “irrobustire” così la
filosofia americana, instrisa di idealismo e di pragmatismo, con i risultati
della logica matematica e con gli standard della riflessione scientifica.
Nato nel 1917,
Davidson intraprende studi classici all’università di Harvard. Prosegue gli
studi con un dottorato in filosofia antica e una dissertazione finale sul Filebo
di Platone. Ma gli incontri, prima con Alfred N.Whitehead, poi con Willard V.
O. Quine, che diventerà il suo maestro, influenzano in modo cruciale il suo
pensiero, allontanandolo dalle preoccupazioni filologiche e letterarie, per
spingerlo, in un primo tempo, verso gli approcci scientifici allo studio
dell’azione umana. Davidson dedica alla teoria delle decisioni i suoi primi
lavori negli Anni ’50, (con Patrick Suppes scrive nel 1957: Decision Making:
An Experimental Approach). Ma è a partire dagli Anni ’60 che una serie di
saggi sulla filosofia dell’azione lo consacra come uno dei pensatori più
originali della sua generazione (la raccolta di saggi Actions and Events
è disponibile ai lettori italiani nell’edizione di Eva Picardi: Azioni ed
eventi, Il Mulino). La grandezza di Davidson sta nell’aver mostrato che le
nostre interpretazioni sono compatibili con una lettura causale del mondo: la
spiegazione che diamo di un’azione in termini di ragioni costituisce allo stesso
tempo una spiegazione causale di quell’azione. Se premo l’interrutore per
accendere la luce in salotto posso spiegare la mia azione dicendo che ho
premuto l’interrutore perché volevo accendere la luce. Ebbene, secondo
Davidson, il mio volere accendere la luce non è solo una ragione che io
fornisco per la mia azione così ridescrivendola e interpretandola, ma è la causa
della mia azione che connette due eventi distinti nel mondo: il mio volere
accendere la luce e il mio atto di premere l’interrutore. La posizione di
Davidson sulla natura causale del legame tra ragioni e azioni rompeva con la
tradizione wittgensteiniana dominante all’epoca secondo la quale le ragioni non
possono essere spiegazioni causali perché non esistono leggi scientifiche che
regolino i rapporti tra un’azione e i motivi che l’hanno determinata.
L’originalità di
Davidson sta nell’avere avanzato una spiegazione causale, ma non naturalista né
riduzionista dell’azione umana. La mancanza di leggi naturali che regolano i
rapporti tra ragioni e cause non è per Davidson una lacuna della scienza che
sarà colmata dai progressi nello studio della psicologia o delle neuroscienze: è
una condizione permanente dell’indagine sull’umano, che non impedisce però di
considerare le ragioni come cause delle azioni. L’impossibilità di trovare
leggi deterministiche dipende dal fatto che le nostre ragioni sono
intelligibili solo nel contesto dell’intreccio di credenze, desideri,
convenzioni sociali, pregiudizi, che costituiscono la vita mentale di un agente.
Il carattere inestricabilmente olistico delle credenze e dei desideri degli
agenti rende irriducibili le nostre spiegazioni razionali a spiegazioni non o
sub-razionali (come le spiegazioni delle scienze naturali).
Di qui un’altra
delle celebri tesi di Davidson: il monismo anomalo, ossia l’idea che,
benché gli eventi mentali (come volere accendere la luce) e gli eventi fisici (come
l’accensione della luce) siano connessi causalmente, non ci sono leggi naturali
strette che regolano questa connessione. Questo perché la vita mentale è interpretabile
solo alla luce di principi di razionalità che non si applicano al mondo fisico.
Il monismo anomalo permette di “salvare” una lettura materialista della realtà
e renderla compatibile con l’eccezionalità del comportamento libero degli
agenti razionali.
Forse è questo l’aspetto più seducente del
pensiero di Davidson, ossia il suo equilibrio tra irriducibilità
dell’interpretazione razionale che dia senso all’azione e al linguaggio umani e
realismo sul mondo fisico, una posizione che è stata fonte di ispirazione e di
dibattito per i filosofi della generazione successiva, non solo di formazione
analitica (basti pensare al suo allievo Richard Rorty). Il “realismo
linguistico” di Davidson fa dell’interpretazione un aspetto costitutivo della
costruzione dell’oggettività senza però lasciar posto a derive scettiche o
relativiste, che anche Rorty cerca di evitare.
E
l’irrinunciabilità di una teoria della razionalità che faccia da sfondo alle
nostre interpretazioni è il tema chiave anche dei suoi numerosi contributi in
filosofia del linguaggio, alcuni dei quali raccolti nell’antologia Truth and
Interpretation del 1984 (ed. it. a cura di Eva Picardi: Verità e interpretazione,
Il Mulino), ormai un classico della filosofia del Novecento. Sviluppando alcune
idee già discusse da Quine in Parola e Oggetto, Davidson sostiene che le
nostre interpretazioni lingustiche non possono prescindere da un principio
di carità interpretativa che massimizzi la coerenza delle credenze del
parlante e la loro corrispondenza ai fatti. Una teoria del significato
linguistico è allora insieme una teoria delle credenze dell’altro che ne
massimizzi la razionalità. Ma solo se l’altro è un nostro simile, e non ad
esempio un cane o un robot, ha senso pensare che condividiamo con lui un vasto
insieme di credenze e motivazioni: il significato e l’oggettività sono allora
costruiti socialmente nel mutuo riconoscimento dell’altro come nostro simile. Le
implicazioni epistemologiche di questo punto di vista sono ben espresse nella
famosa teoria della triangolazione di Davidson: “La possibilità di vivere una
vita razionale dipende dalle relazioni interpersonali”, scriveva qualche anno
fa a conclusione di un suo articolo proprio per il Sole 24 Ore (9-1-2000 I
presupposti della verità): solo il triangolo costituito da due esseri
razionali davanti un’esperienza del mondo rende il contenuto di questa
esperienza oggettivo.
Oltre alle due
raccolte di saggi tradotte da Il Mulino, Davidson è conosciuto dal pubblico
italiano per la sua disputa con Rorty e Hacking su Linguaggio e
interpretazione, (a cura di L. Perissinotto, Unicopli). Di prossima
pubblicazione da Laterza a cura di A. Pieretti e G. Marchetti le sue Hermes
Lectures tenute a Perugia nel 2001: The Problem of Predication.
Gloria Origgi