Genealogie
dell’anima (anzi, del corpo)
Il Sole 24 Ore
25 gennaio 2004
di Gloria Origgi
A Parigi si parla
di anima. In un’epoca in cui anche i teologi esitano ad usare questa parola,
alla quale ormai preferiscono l’idea di persona, il filosofo e storico della
scienza Ian Hacking intitola quest’anno il suo corso al Collège de France: L’anima
e il corpo all’inizio del XXIesimo secolo. Tredici lezioni, da gennaio ad
aprile, che spaziano da Descartes a Damasio, all’eutanasia e all’uso dei
cadaveri nella scienza e nell’arte. Laura Bossi, neurologa, esperta di malattie
neurodegenerative e consulente in varie mostre dedicate al problema del rapporto
mente/corpo (con Pietro Corsi: La Fabbrica del Pensiero, Cité des
Sciences 1990 - e con Jean Clair: L’âme au corps, Grand Palais 1993) pubblica
una Histoire naturelle de l’âme (Puf, Paris 2003). I due eventi hanno in
comune, oltre che l’oggetto, anche il metodo: entrambi rivendicano la
genealogia come strumento di indagine storica, metodo caro a Nietzsche e poi a
Foucault, di cui Hacking, canadese e filosofo analitico di formazione, è
soprendentemente l’erede spirituale in Francia. Una genealogia è per Foucault
una “grigia, meticolosa e pazientemente documentata” indagine attorno a un
fenomeno culturale: non la ricostruzione storica e lineare dell’evoluzione di
un’idea, ma il reperimento delle singolarità storiche e dei contesti più
improbabili in cui un fenomeno si è espresso ed è stato concettualizzato. E’ un
racconto delle rotture storiche attorno a un’idea.
Il libro di Laura
Bossi mostra come l’anima ben si presti a una ricostruzione genealogica: gli
scenari in cui possiamo rintracciarla sono molteplici: la metempsicosi, che
persiste a fasi alterne in Occidente da Platone fino a Schopenhauer; la grande
catena dell’essere, che attraversa tutta la storia del pensiero per arrivare al
suo culmine nella scienza naturale del XVIIIesimo secolo, ossia l’idea di una scala
naturae ascendente fino all’essere umano e alle fantasie, tra science
fiction e filosofia nietzscheana, di specie sovrumane; la teoria platonica
dell’anima immortale e tripartita in ragione, emozione e istinto, e quella
galenica degli umori e degli spiriti vitali; l’evoluzionismo misticheggiante di
Ernst Haeckel, per il quale l’evoluzione delle forme viventi ricapitola quella
dell’anima individuale.
Hacking si propone
nel suo corso di esplorare temi tanto diversi quanto il dualismo cartesiano
(del quale offre una lettura “attenuata”, nei termini di una distinzione logica
invece che ontologica tra sostanza materiale e immateriale), Spinoza, il
trapianto d’organi, la morte cerebrale, la vendita dei codici genetici e delle
genealogie degli Islandesi, i cyborg.
Ma perché questo
ritrovato interesse in due intellettuali di orientamento chiaramente
naturalista per un concetto desueto come quello di anima? La risposta è che nel
concetto di anima si condensano almeno tre diverse nozioni cruciali per
comprendere noi stessi in quanto esseri umani: l’anima come principio vitale,
che distingue la vita dalla morte, l’anima come persona, che garantisce
l’identità di un individuo dalla nascita - o prima - fino alla sua morte - o
dopo - e l’anima come coscienza, l’io interiore che controlla passioni e
azioni, ancora oggi al centro del dibattito filosofico sotto il nome di mind-body
problem. E l’ambiguità dell’idea di
anima dipende proprio dal fatto che questi tre ingredienti simultaneamente sono
in gioco nella nostra comprensione intuitiva di chi siamo e nelle nostre attitudini
verso le questioni morali aperte dalle nuove tecnologie della vita e della
morte. Scopriamo allora nel libro della Bossi che il dibattito sull’anima
dell’embrione umano è vecchio quanto Aristotele, e che già nel IV secolo i
padri della chiesa difendevano l’idea che il feto è animato dal momento del
concepimento. Oppure: il vuoto giuridico in cui cadono in alcuni paesi le
nostre spoglie mortali – un cadavere in Francia non appartiene a nessuno,
nemmeno a chi è morto o ai suoi eredi, perché il corpo non può essere oggetto
di proprietà, nondimeno non ha più nessun diritto in quanto persona – mostra
ancora quanto un’intuizione dualista del cadavere come oggetto “abbandonato”
dall’anima, influenzi la legislazione. Eppure, un uso “improprio” dei cadaveri,
come mostrano le recenti polemiche attorno all’esposizione delle opere di
Gunther von Hagens, che espone veri cadaveri umani e animali scorticati e poi
plastificati (http://www.koerperwelten.com),
ci lascia costernati. O ancora: le differenze culturali nell’accettazione dei
criteri di “morte cerebrale” (il Giappone ha per esempio riconosciuto la morte
ai pazienti in coma irreversibile solo nel 1999, avendo privilegiato a lungo il
criterio classico dell’arresto del battito cardiaco) mostrano anch’esse
l’ambiguità tra vita e coscienza.
Scopriamo dunque
che sono proprio le potenzialità del corpo del XXIesimo secolo e il controllo
scientifico e giuridico che possiamo esercitare sulle sue parti e sui suoi
stadi di sviluppo e di degenerazione a rendere attuale l’idea di anima, di
essenza di un essere umano, senza la quale ancora oggi non siamo in grado di
orientarci nelle scelte morali e materiali di fondo che ci definiscono come
esseri umani.
(Per informazioni
sul corso di Ian Hacking: www.college-de-france.fr
)